Reni, fegato, pancreas: quarant’anni di cammino, dai pionieri ai robot. «Una scuola d’élite»

Quarant’anni portati bene, con un unico scopo: donare la vita. La storia dei trapianti a Pisa è anche il successo di un modello organizzativo multidisciplinare riconosciuto a livello internazionale.

Il professor Ugo Boggi, responsabile programmi di trapianto di rene e di pancreas dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, ci accompagna in questo cammino.

Chi furono i pionieri di un ciclo virtuoso capace di ridare la vita a migliaia di persone? Non fu un evento casuale o estemporaneo - dice il professore - ma il frutto di una scuola pisana di livello mondiale, se si pensa che qui sono state scritte pagine importanti della storia della Medicina. Basti pensare a luminari come, e parlo solo del secolo appena trascorso, Giuseppe Moruzzi, Gabriele Monasterio, Paride Stefanini, Sergio Giovannetti, Mario Selli e molti altri padri della Medicina moderna. Il prof. Mario Selli, che effettuò il primo trapianto di rene a Pisa il 15 febbraio 1972, era stato allievo del prof. Stefanini che aveva eseguito il primo trapianto in Italia il 3 maggio 1966 e il primo xenotrapianto renale nel mondo (da scimpanzé a uomo) l’8 maggio del 1966. Quello del 3 maggio era stato il terzo in assoluto in Europa. Esistevano quindi anche a Pisa le basi di chirurgia vascolare e urologia, indispensabili per affrontare ciò che all’epoca era certamente un’impresa titanica. Tra il 15 febbraio 1972 e l’11 dicembre 1973 furono eseguiti 20 trapianti renali

.

A questo inizio precoce seguì un periodo di attività molto ridotta, episodica. Perché? Erano anni in cui la terapia anti-rigetto era rudimentale e i benefici di un trapianto ancora incerti. Di fatto il programma di trapianti di rene non decollò fino al 1987.

Fu il prof. Franco Mosca a dare la svolta decisiva, convincendo la Regione ad attivare il programma di trapianto renale per cui tutti i reni disponibili in Toscana, invece di essere distribuiti in base ad accordi tra singoli ospedali, furono assegnati al ricevente più compatibile nella lista di attesa regionale unica. Questo modello organizzativo, dice Boggi, è adottato oggi da tutte le regioni italiane e alla fine degli anni Ottanta costituiva un miglioramento epocale. Sotto la guida del prof. Mosca il programma di trapianto di rene raggiunse subito risultati eccellenti che posero il gruppo pisano all’attenzione della comunità scientifica internazionale. Nel 1990 l’attività di trapianto renale iniziò anche a Firenze e nel 2000 a Siena.

Nel frattempo, anche grazie all’esperienza di chirurgia pancreatica, il 2 maggio 1996 fu eseguito il primo trapianto di rene e di pancreas, mentre nel gennaio del 1996 era stato attivato anche il programma di trapianto di fegato, frutto del processo di preparazione tecnica iniziata già alla fine degli anni Ottanta a Chicago sotto la direzione del prof. Cristopher Broelsch. Una esperienza fondamentale, prosegue Boggi, finanziata prima dall’APRIC e poi dalla fondazione ARPA creata dal prof. Mosca (primo promoter è Andrea Bocelli), resa possibile dai contatti avviati dal prof. Fabrizio Michelassi , allievo prima di Selli e poi del prof. Broelsch.

A Pisa si eseguono oltre cento trapianti di fegato l’anno, secondi in Italia dopo Torino e ai primi cinque posti in Europa. Tornando al rene, all’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana ne sono stati complessivamente trapiantati, ad oggi, 1.291 (297 quelli di pancreas). A 40 anni dal primo. l’evoluzione professionale e tecnologica del centro trapianti non è affatto conclusa. E se nell’aspetto medico-interventistico si sono fatti tanti passi avanti, siamo ancora un po’ indietro nelle nuove linee guida e negli indirizzi rivolti al legislatore per diffondere una diversa cultura della donazione.

Se andiamo avanti di questo passo puntando solo sulle donazioni da cadavere, dice il prof. Boggi, tra qualche anno le liste di attesa per i trapianti di rene aumenteranno drammaticamente. Bisogna puntare ai trapianti renale da donatore vivente, che tra l’altro risulta anche migliore perché può essere eseguito con una opportuna programmazione originando una media di sopravvivenza doppia rispetto a quella da donatore cadavere.

Ma si dovrà fare ancora di più: andare verso una banca del rene dove, come avviene per quella del sangue, il volontario doni senza conoscere la destinazione; e le cui caratteristiche biologiche possano poi garantire al ricevente la migliore riuscita. Una sorta di donatore universale. Una strada obbligata, dice il professor Mosca, che dovremo intraprendere presto e bene non solo in Italia, per consentire a ognuno di risolvere la propria patologia. Un’operazione etica e culturale nella quale metteremo, come sempre, tutto il nostro impegno, soprattutto rivolto alla capacità di comunicare.

Articolo di Marco Barabotti, Il Tirreno - Livorno, 12 febbraio 2012

Notizie dall'Associazione

E le problematiche connesse con una pratica chirurgica innovativa.

Da allora una serie di primati per il Centro trapianti AOUP