L’intervento eseguito su un bambino di otto anni. La mamma aveva un gruppo sanguigno diverso dal figlio, che aveva anche particolari anticorpi che aumentano il rischio di rigetto, conseguenza di un trapianto precedente.

Un trapianto, delicato e impegnativo, ha ridato il sorriso a un bimbo di otto anni. Delicato e impegnativo, anche se già eseguito in altri Centri Trapianti nel mondo perché è stato impiantato un rene da donatore adulto - la mamma del piccolo - incompatibile sia per gruppo sanguigno che per la presenza di anticorpi (cosiddetti anticorpi donatore-specifici). Il rischio di rigetto, in questi, casi è molto alto. L’intervento è stato eseguito il 26 marzo scorso al Centro Trapianti di rene dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana da un team di anestesia e rianimazione, chirurgia, immunologia dei trapianti e pediatria coordinato dal professor Ugo Boggi, direttore dell’Unità operativa di Chirurgia Generale e Trapianti nell’Uremico e nel Diabetico. A distanza di 8 mesi sia il bambino sia la madre stanno bene e la loro funzione renale è completamente normale. «A Pisa sono stati molto bravi — sottolinea il professor Giuseppe Remuzzi , direttore del Dipartimento di Medicina e Dipartimento dei Trapianti presso l’Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII di Bergamo e coordinatore delle ricerche all’Istituto Mario Negri di Bergamo — perché sono riusciti a superare un problema chirurgico e, pur avendolo fatto anche altri Centri Trapianti , con le caratteristiche di peso di quel bambino non è affatto scontato. C’è grande soddisfazione per il fatto che il trapianto abbia avuto successo».

La storia

Il piccolo protagonista di questa storia nasce il 9 gennaio del 2006. Pochi mesi dopo si manifesta una malattia renale che lo condurrà rapidamente alla dialisi, necessaria già a un anno di vita. Il trapianto appare da subito la strada da intraprendere. Il 27 agosto del 2010 il bimbo viene trapiantato da donatore cadavere pediatrico in un grosso centro trapianti pediatrico. Il trapianto purtroppo fallisce per trombosi, cioè per coagulazione del sangue all’interno dei vasi, un’eventualità frequente nei trapianti eseguiti nei bambini piccoli, soprattutto se il donatore è un coetaneo o è comunque un bambino piccolo. Il bimbo si riprende dal trapianto fallito, ma nel suo sangue ne restano le tracce: il suo sistema immunitario produce anticorpi in grado di reagire con gli antigeni - le proteine che determinano la compatibilità immunologica - del 90% dei possibili donatori. Considerata la piccola “taglia” del bambino e il numero, fortunatamente, esiguo di donatori cadaveri della stessa età, la possibilità per lui di ricevere un secondo trapianto da donatore cadavere era diventata molto bassa. La famiglia si rivolge quindi ad alcuni centri trapianto, ottenendo da tutti la stessa risposta: è necessario inserire il piccolo in lista di attesa e “sperare” in un donatore cadavere compatibile. Questo consiglio è motivato anche dal fatto che i possibili donatori viventi (madre e padre) sono entrambi incompatibili rispetto al bambino, sia per gruppo sanguigno che per la presenza di anticorpi donatore-specifici. Non resta che attendere. Nel frattempo i segni della lunga permanenza in dialisi diventano sempre più visibili sia sul piano fisico, cresce poco, sia su quello sociale perché il bambino ha difficoltà di inserimento scolastico e di partecipazione alle normali attività di svago.

La scelta di Pisa

La famiglia viene a conoscenza del fatto che a Pisa, un centro particolarmente attivo nel trapianto renale da donatore vivente, sono già stati trapiantati bambini piccoli con reni di donatori adulti e che è stato anche sviluppato un programma di trapianto da donatore incompatibile. « Il bimbo viene quindi valutato a Pisa dal gruppo medico multidisciplinare, che si esprime a favore del trapianto —racconta Ugo Boggi — , sebbene in Italia non sia mai stato eseguito prima questo tipo di trapianto: cioè la combinazione di un trapianto da un donatore adulto in un bambino piccolo con duplice incompatibilità. Il bambino dovrà essere “condizionato” per ricevere il trapianto sia rispetto all’incompatibilità di gruppo sanguigno che degli anticorpi rivolti contro gli antigeni dei genitori. Come donatore viene scelta la madre. Il trapianto viene eseguito appunto il 26 marzo scorso. L’organo viene prelevato dalla madre con tecnica mini-invasiva laparoscopica e trapiantato con tecnica tradizionale. Il decorso post-trapianto è regolare sia per il bambino che per la madre. Il rene funziona a pieno fino da subito. Nei mesi successivi al trapianto il bimbo e la mamma stanno bene. Il piccolo riprende a crescere e riesce perfino a fare il suo primo bagno in mare . A settembre inizia la scuola e la mamma torna alle sue attività, senza differenze rispetto a prima. Attualmente il piccolo ha una funzione renale normale e vive come ogni bambino della sua età.

La prima difficoltà

La delicatezza e la difficoltà del trapianto deriva da due elementi: si tratta di trapiantare in un bambino di piccola taglia (16 Kg) il rene di un adulto e, inoltre, con un organo doppiamente incompatibile, per gruppo e per la presenza di anticorpi, evitandone il rigetto. «Per quanto riguarda il primo elemento — puntualizza il professor Boggi — , la principale difficoltà consiste nel fatto che il volume di sangue del piccolo paziente (la cosiddetta volemia) è insufficiente a perfondere il rene “grande”. In termini pratici il rene di un adulto richiede 1200-1500 millilitri di sangue al minuto - il rene è un filtro e, in quanto tale, è l’organo più vascolarizzato in assoluto-. La volemia del bimbo era calcolata essere pari a circa 800 millilitri complessivi. Inoltre i bambini hanno una pressione sanguigna bassa mentre un rene di un adulto per funzionare richiede una pressione “normale”. La pressione normale per un adulto è alta per un bambino. Esistono inoltre altre differenze emodinamiche (cioè relative a come il sangue circola e perfonde gli organi) in un bambino rispetto agli adulti. Per ognuna di queste differenze è necessario trovare un compromesso fra bambino e organo adulto». Non basta . «La prima grande difficoltà — continuano gli esperti — è stata quindi quella di aumentare rapidamente il volume di sangue del bambino (durante l’anestesia prima che fosse trapiantato il rene) in modo che l’organo fosse ben perfuso fin da subito e che ciò non avvenisse a spese di un “furto” di sangue rispetto agli altri distretti corporei. Espandere rapidamente il volume circolante è molto difficile perché si devono rispettare molti delicati equilibri fisiologici. Il rischio principale è quello che l’eccesso di liquido si accumuli nei polmoni (edema polmonare) e/o che il cuore abbia difficoltà a gestire l’improvviso lavoro aggiuntivo. Nello stesso momento vengono inoltre somministrati al bambino farmaci molto importanti perché deputati ad impedire il rigetto dell’organo. Questi farmaci, o meglio alcune reazioni che seguono alla loro infusione, possono comportare ulteriori difficoltà respiratorie e/o di circolazione. Tutto ciò richiede quindi un team di anestesia molto esperto sia in chirurgia pediatrica che in chirurgia dei trapianti. Esisteva poi anche la difficoltà tecnica di inserire un rene “grande” nell’addome di un bambino piccolo. Era inoltre necessario riabilitare una vescica piccolissima (capacità circa 20 cc) che, sostanzialmente, non aveva mai avuto modo di funzionare e si era quindi atrofizzata. Anche questi aspetti chirurgici richiedono esperienza».

Il rischio del rigetto

C’era poi da superare l’ostacolo dell’incompatibilità donatore-ricevente. In condizioni standard un rene è considerato compatibile quando donatore e ricevente hanno lo stesso gruppo di sangue, o un gruppo compatibile (esempio: donatore “gruppo zero” e ricevente “gruppo A”) e quando nel plasma del ricevente non vi sono anticorpi diretti verso gli antigeni del donatore. Questi anticorpi, se diretti verso gli antigeni del donatore (e quindi donatore-specifici), causano rigetto. Il rigetto che consegue al trapianto di un organo incompatibile per gruppo di sangue o per presenza di anticorpi donatore specifici è di tipo umorale (cioè innescato dagli anticorpi) e si traduce in un rigetto particolarmente aggressivo, rivolto prevalentemente contro i vasi dell’organo. Talvolta quando questo processo si innesca non è possibile arrestarlo. Altre volte è possibile fermarlo con trattamenti energici. «Grazie alla disponibilità di alcune nuove terapie è oggi possibile “condizionare” un potenziale ricevente ad accettare un organo altrimenti incompatibile — sottolinea il professor Boggi —. Il processo di condizionamento è meglio applicabile a un trapianto da donatore vivente per il fatto che si tratta di un intervento programmabile (mentre quello da donatore cadavere ha un tempistica imprevedibile e gli effetti del condizionamento non si mantengono a lungo termine). Si tratta di terapie farmacologiche, aggiuntive rispetto ai protocolli antirigetto standard (comunque necessari), che bloccano la produzione di nuovi anticorpi e di trattamenti di rimozione degli anticorpi già presenti. Questi ultimi si basano su procedure di plasmaferesi o plasma-filtrazione con filtri specifici. Grazie a queste complesse strategie mediche è possibile abbassare il livello degli anticorpi (naturali o acquisiti) fino ad un livello che evita il rigetto. Successivamente si instaura un fenomeno, chiamato “adattamento”, per cui il ricevente si adatta alla presenza dell’organo incompatibile. Ovviamente l’organo può ancora essere rigettato in base a quei meccanismi che possono intervenire in qualsiasi trapianto. Persiste inoltre un rischio maggiore di perdita dell’organo per rigetto umorale, rispetto a chi riceve un organo compatibile».

I trapianti incompatibili a Pisa

Il Centro Trapianti di Pisa, oggi diretto dal professor Ugo Boggi, ha una lunga tradizione nel trapianto di rene, iniziata il 15 febbraio 1972. Lo stesso anno fu trapiantato anche un bambino. «Il nostro Centro è il più attivo in Italia per il trapianto renale da donatore vivente ed è particolarmente attento all’innovazione tecnologica ed al suo possibile contributo alla trapiantologia», aggiunge il professor Boggi. Nell’anno in corso sono stati eseguiti 33 trapianti di rene da donatore vivente, di cui 14 incompatibili: 5 esclusivamente rispetto al gruppo sanguigno, 4 esclusivamente con anticorpi donatore specifici, e 5 con entrambi. «I risultati sono buoni — dicono gli esperti del Centro — con tutti i reni che al momento hanno funzione normale. Anche i reni trapiantati con le stesse problematiche negli anni precedenti sono funzionanti».

Prospettive future

L’innovazione ha un ruolo fondamentale per ogni Centro Trapianti e quello di Pisa non fa eccezione. «Attualmente sono in fase di valutazione alcuni protocolli che consentiranno di trapiantare pazienti con gradi ancora più elevati di incompatibilità — annuncia il professor Boggi — sia attraverso l’applicazione di nuovi protocolli farmacologici ed aferetici, che attraverso l’uso di soluzioni tecniche innovative. A quest’ultimo riguardo è già pronto un protocollo operativo che potrebbe consentire di affrontare con successo i casi più complessi senza dover ricorrere a particolari strategie farmacologiche o aferetiche. Siamo in attesa delle necessarie autorizzazioni da parte degli organismi competenti e speriamo di poter avviare a breve questa nuova attività. Resta inoltre fondamentale consolidare e sviluppare ulteriormente l’attività di trapianto da donatore vivente, particolarmente opportuna nei bambini, ma necessaria in qualsiasi fascia di età». Conferma il professor Remuzzi : «Il trapianto da donatore vivente deve essere incoraggiata, perchè in questa specifica attività la situazione in Italia è drammatica . Siamo infinitamente indietro rispetto ad altri Paesi europei come l’Olanda, dove i trapianti da vivente rappresentano ormai il 60% del numero complessivo di trapianti, o come gli Stati Uniti in cui sono il 50%».

Da Il Corriere della Sera - edizione online.

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